3.6.08

lavoro di poesia guido i'vorrei

Guido, i ’ vorrei

(Dante Alighieri)

biografia dell’autore: Dante Alighieri (1265-1321) nasce a Firenze da una famiglia di piccola nobiltà guelfa (i guelfi erano coloro che durante la lotta per il potere tra il Papato e l’impero sostenevano il Papa contrapponendosi ai Ghibellini che invece sostenevano l’impero).
Ricopre cariche politiche, diventa ambasciatore e priore del Comune fiorentino.
Quando a Firenze i Guelfi si dividono in due fazioni: i Bianchi e i Neri, Dante si schiera con i Bianchi, sostenitori dell’autonomia della città nei confronti del Papa.
Per questa posizione politica viene esiliato e successivamente verrà condannato a morte perché accusato di corruzione.
Dante spera di tornare a Firenze ma è di nuovo a Verona e poi a Ravenna dove muore. Oltre alla Divina Commedia dante scrive anche in volgare la Vita nuova, un’opera mista di prosa e di versi in cui egli narra di una donna chiamata Beatrice.








Poesia:
Guido , i ‘ vorrei che tu e Lapo e dio A
Fossimo presi per incantamento, B
e messi in un vasel ch’ad ogni vento B
4 per mare andasse al voler vostro e mio A

sì che fortuna od altro tempo rio A
non ci potesse dare impedimento, B
anzi, vivendo sempre in un talento, B
8 di stare insieme crescesse ‘l disio. A

E monna Vanna e monna Lagia poi C
Con quella ch’è sul numero de le trenta D
11 Con noi ponesse il buono incantatore: E

e quivi ragionar sempre d’amore, E
e ciascuna di lor fosse contenta, D
14 sì come i’ credo che saremmo noi. C



figure retoriche e breve analisi:

Il sonetto è composto da due quartine e da due terzine
Le pause sintattiche coincidono con le pause strofiche
Le rime seguono lo schema: ABBA ABBA CDE EDC
I versi sono endecasillabi cioè un verso in cui l’ultimo accento tonico cade sulla decima sillaba.
In questo sonetto non vi sono enjambemant evidenti.

lavoro di poesia o poesia

O poesia
(Clemente Rebora)


biografia dell’autore
Clemente Rebora (1885-1957) nasce a Milano da una famiglia ligure. Dopo essersi laureato in Lettere fa l’insegnante in scuole serali ma si dedica anche alla letteratura.
Partecipa alla Prima guerra mondiale e ne ricava un’esperienza traumatica che influenza la poesia successiva.
Riprende ad insegnare e nel 1922 pubblica i Canti anonimi traduce vari narratori russi.
Matura una crisi religiosa che lo porta nel 1931 ad entrare in seminario per poi diventare sacerdote nel 1936 durante la sua grave malattia compone i Canti dell'infermità.






poesia:
O poesia del lucido versoChe l'ansietà di primavera esaltaChe vittoria dell'estate assaltaChe speranze nell'occhio del cielo divampaChe tripudi nel cuor della terra conflagra,O poesia, nel livido versoChe sguazza fanghiglia d'autunnoChe spezza ghiaccioli d'invernoChe schizza veleno nell'occhio del cieloChe strizza ferite sul cuor della terra,O poesia nel verso inviolabileTu stringi le forme che dentroMalvive svanivan nel labileGesto vigliacco, nell'ariaSenza respiro, nel varcoIndefinito e desertoDel sogno dispersoNell'orgia senza piacereDell'ebbra fantasia;E mentre ti levi a tacereSulla cagnara di chi legge e scriveSulla malizia di chi lucra e svariaSulla tristezza di chi soffre e accieca,Tu sei cagnara e malizia e tristezzaMa sei la fanfaraChe ritma il cammino,Ma sei la letiziaChe incuora il vicino,Ma sei la certezza
del grande destino,O poesia di sterco e di fiori,Terror della vita, presenza di Dio,O morta e rinataCittadina del mondo catenata


breve analisi e figure retoriche:
nella poesia si nota subito la ripetizione del “che” il quale introduce quattro iperbati:
l’iperbato è quando un segmento di enunciato viene interposto tra due che costituiscono un sintagma, con l’effetto di dargli un maggior rilievo.
nel verso secondo l’iperbato è formato in questo modo: che esalta l’ansietà di primavera
nel verso terzo:che assalta la vittoria dell’estate
nel quarto verso: che divampa speranze nell’occhio del cielo
e nel quinto verso:che conflagra tripudi sul cuor della terra

nel verso secondo terzo quarto e quinto possiamo trovare un climax con i termini:
esalta,assalta,divampa,conflagra:
il climax indica una serie di termini posti in scala in gradazione di intensità crescente o decrescente
in questo caso il climax è a fine verso ed è ascendente
alla fine dei versi quattro e cinque notiamo che “divampa” e “conflagra” sono un espressionismo linguistico cioè questi verbi sono usati in questo caso in modo transitivo ma in realtà sono verbi intransitivi.

Nei versi sette, otto , nove, dieci troviamo un alliterazione con :sguazza, spezza, schizza, strizza.
L’alliterazione è la ripetizione di uno o più fonemi
Questi versi sono anche un climax poiché c’è un’accumulazione di significati.

Alla fine dei versi tredici e quindici riconosciamo una rima
La rima è l’identità fonetica tra due parole diverse dall’accento tonico compreso, dalla vocale tonica compresa.

Al verso sedici troviamo una dittologia cioè sono presenti termini con la “e” …”indefinito e deserto”…
Ai versi 21-22-23-24: cagnara, malizia, tristezza , formano un accumulazione cioè un altro climax.
Il termine “acceca” alla fine del verso 24 rappresenta un altro espressionismo mentre al verso 25 troviamo un’ enumerazione con i termini cagnara malizia e tristezza.
All’inizio dei versi 27-29 “ma sei” forma un anafora
L’anafora è la ripetizione di una o più parole all’inizio di enunciati e di segmenti stessi
I termini certezza e letizia formano un’ alliterazione come i termini rinata e catenata alla fine della poesia.

lavoro di poesia progetto di lode

Progetto di lode
(Gesualdo Bufalino)

biografia dell’autore: Gesualdo Bufalino (1920-1996) nasce a Comiso in Sicilia, nel 1920, studia a Catania, nel 1943 fu catturato dai Tedeschi ma poi scappò e poi raggiunse amici in Emilia, poi tornò a Comiso dove insegna fino alla pensione.
Scrittore per vocazione fin dalla giovinezza, pubblica il primo libro, il romanzo Diceria dell’untore. Nell ‘opera poetica riunita nella raccolta dell’Amaro Miele(1982) si trovano sia l’abbandono lirico, la confessione delle proprie emozioni. Dopo pubblica altre importanti opere come Argo il cieco (1984), l’uomo invaso (1986), le menzogne della notte (1988).




poesia:
Tu unica,tu viva, tu acqua
E aria del mio vivere
E veemente complice di morte
Tu mio pugno e stendardo
Contro le scure procedure della sorte;
tu mio grano, mio grembo, mio sonno,
fuoco d’inverno che sventi l’obliqua
nube di notte dove abita l’Orsa;
tu unica e viva, tu canto
di grave organo e grido
di lenta carne e fiore e cibo, mia roccia
di paragone e tiepida
tana, mia donna, mia donna, tu unica,
tu viva.


Breve analisi e figure retoriche:
questa poesia possiamo dire che sia molto ricca principalmente di metafore.
È il traslato per antonomasia ed è definita come una similitudine abbreviata
Troviamo le metafore lungo tutta la poesia: tu acqua, tu aria,tu mio pugno e stendardo, tu mio grano, mio grembo, mio sonno,fuoco,tu unica e viva, tu canto di grave organo,grido di lenta carne,fiore e cibo, mia roccia,tiepida tana, tu unica,tu viva.

Inoltre possiamo vedere molti enjambement:
Enjambement , inarcatura o spezzatura è la mancata coincidenza tra la pausa sintattica e la pausa di fine verso.
Troviamo l’enjambement in questa poesia quasi ad ogni fine di verso.

Un’importante figura retorica che individuiamo in questa poesia è la sinestesia che in questo caso è: scure procedure.
La sinestesia implica un trasferimento di significato da un ambito sensoriale all’altro.
Questa sinestesia è anche una metafora ma insieme i due termini formano una sinestesia.

I versi sono liberi e con le metafore l’autore vuole descrivere la sua donna e la paragona all’acqua, all’aria e a tutte le altre cose descritte nell’opera.

Non vi sono rime evidenti ma possiamo ugualmente individuarne qualcuna come per esempio “morte,sorte”. Non vi è quindi uno schema di rime seguito dall’autore.

25.5.08

TEMA ARGOMENTATIVO DELLA PIAZZA

I RUOLI DELLA PIAZZA


Quando si pensa ad una piazza si pensa quasi sempre ad un punto della città o del paese, dove sorge un luogo di culto o qualche palazzo comunale e normalmente sono proprio questi luoghi ad averla resa famosa.
E così essa diventa quel punto di riferimento che , anche chi si trova a passare per la prima volta per quella data città, non può perdere se vuole avere l’occasione di aprire lo sguardo su qualcosa che ha lasciato il segno sia da un punto di vista storico che artistico Non si potrebbe , ad esempio, andare a Milano per la prima volta e non vedere piazza del Duomo con la sua splendida cattedrale o trovarsi a Venezia e non correre a piazza San Marco e ammirare la sua imponente basilica.
Sembrerebbe questo essere il primo ruolo della piazza ma non è sicuramente l’unico aspetto a definire quello che nella mente di ognuno e soprattutto nella cultura e nella tradizione è il concetto di piazza.
I mercanti ne facevano nel passato un luogo di scambi e ancora oggi passare attraverso determinate piazze, soprattutto durante alcuni periodi dell’anno,corrisponde ad imbattersi in innumerevoli bancarelle e in un clima di festosità grandiosa.
Le botteghe facevano già da cornice alla piazza nel passato e adesso sono state semplicemente sostituite da boutiques , ristoranti fast food , bars e questo offre la possibilità di farne un luogo di incontro: ci si ritrova lì per poi magari mangiare o bere qualcosa insieme.
Luogo di incontro quindi, ma non solo per uno scambio commerciale ma anche luogo di incontro di umanità diverse che li proprio nella piazza della città o anche nella piazzetta del paese si danno appuntamento.
Si potrebbe definirla allora il “cuore” della città, del villaggio, del paese, proprio perché li i giovani e i meno giovani si incontrano per scambiare pensieri , per scambiare idee o anche solo per condividere un momento in compagnia.
È un “cuore” che va sperimentato per poterlo capire e comprendere fino in fondo, proprio come W. Gropius tende a dimostrare nel brano tratto dal suo libro “ Discussione sulle piazze italiane”.
Lo stesso Giacomo Leopardi nel “sabato del villaggio” fa emergere questo sentimento quando descrive il divertimento dei fanciulli e rende ancora più evidente il clima festoso inserendoli nella cornice di una piazzola.
Se si osserva l’immagine della piazza di Recanati descritta da Leopardi, non si può evitare di pensarla pullulante di bambini in determinate ore del giorno e frequentata in altri momenti da anziani che lì si ritrovano per raccontarsi della loro vita magari ricordando quando anche loro giocavano in quel medesimo luogo.
Così la piazza diventa luogo della memoria anche se talvolta di una memoria triste e struggente.
Se ci si trova in piazza Fontana a Milano seduti sulle panchine lo sguardo corre ad uno scorcio del Duomo e all’Arcivescovado ma poi basta ruotare di poco gli occhi e non si può evitare di vedere la Banca nazionale dell’Agricoltura che riporta alla mente di tutti, anche di coloro che non erano allora ancora nati , la terribile strage dello scoppio di una bomba nel dicembre del 1969 .
Si passa di li e non si può fare finta di niente e se poi capita di passeggiare nei pressi nel periodo che precede il Natale le enormi corone a memoria delle vittime impediscono di dimenticare .
Che la piazza sia quella più famosa di una certa città, quella più periferica o addirittura la piazzola di un piccolo paese, rimane indiscusso il suo ruolo, quello di essere un punto di incontro e di attività umane e sociali, entrato nella tradizione e tramandato di generazione in generazione.

28.3.08

IL DISAGIO DI BERTO

Motiva il disagio sostanziale di Berto

Berto arrivato a Monticello si sente a disagio:abituato alla vita di città a Torino e appena uscito dal carcere si trova proiettato in un mondo a lui sconosciuto con le sue tradizioni e i suoi personaggi che hanno un modo così diverso di concepire la vita . Da buon operaio torinese si trova a lavorare anche di domenica nei campi della campagna con persone per le quali prova una sensazione di curiosità ma allo stesso tempo le sente così differenti da sé.
La campagna ha qualcosa di misterioso per Berto al punto che sceso dal treno dirà: “ sono proprio in campagna, qui più nessuno mi trova”.
Berto ha la coscienza di avventurarsi in qualcosa di lontano dalla sua abituale esperienza.
Arrivato in campagna nota subito il fastidioso odore del fieno, rimane colpito dalla forme delle colline, dalla famiglia di Talino ma è anche allo stesso tempo affascinato dalla bellezza di quei paesaggi e dalla stranezza delle loro forme.
Si accorge inoltre che le donne di campagna sono rozze rispetto a quelle di città, tutte tranne Gisella, l’unica che da subito lo affascina grazie alla sua bellezza naturale così estranea alla selvaggia vita di campagna.
Fin dall’inizio è comunque Talino a mettere a disagio Berto il quale si sente investito di una certa responsabilità nei confronti di una persona che comunque lo usa e si dimostra lungo tutta la vicenda rozza e violenta.

IL DISAGIO DI BERTO

Motiva il disagio sostanziale di Berto

Berto arrivato a Monticello si sente a disagio:abituato alla vita di città a Torino e appena uscito dal carcere si trova proiettato in un mondo a lui sconosciuto con le sue tradizioni e i suoi personaggi che hanno un modo così diverso di concepire la vita . Da buon operaio torinese si trova a lavorare anche di domenica nei campi della campagna con persone per le quali prova una sensazione di curiosità ma allo stesso tempo le sente così differenti da sé.
La campagna ha qualcosa di misterioso per Berto al punto che sceso dal treno dirà: “ sono proprio in campagna, qui più nessuno mi trova”.
Berto ha la coscienza di avventurarsi in qualcosa di lontano dalla sua abituale esperienza.
Arrivato in campagna nota subito il fastidioso odore del fieno, rimane colpito dalla forme delle colline, dalla famiglia di Talino ma è anche allo stesso tempo affascinato dalla bellezza di quei paesaggi e dalla stranezza delle loro forme.
Si accorge inoltre che le donne di campagna sono rozze rispetto a quelle di città, tutte tranne Gisella, l’unica che da subito lo affascina grazie alla sua bellezza naturale così estranea alla selvaggia vita di campagna.
Fin dall’inizio è comunque Talino a mettere a disagio Berto il quale si sente investito di una certa responsabilità nei confronti di una persona che comunque lo usa e si dimostra lungo tutta la vicenda rozza e violenta.

IL DISAGIO DI BERTO

Motiva il disagio sostanziale di Berto

Berto arrivato a Monticello si sente a disagio:abituato alla vita di città a Torino e appena uscito dal carcere si trova proiettato in un mondo a lui sconosciuto con le sue tradizioni e i suoi personaggi che hanno un modo così diverso di concepire la vita . Da buon operaio torinese si trova a lavorare anche di domenica nei campi della campagna con persone per le quali prova una sensazione di curiosità ma allo stesso tempo le sente così differenti da sé.
La campagna ha qualcosa di misterioso per Berto al punto che sceso dal treno dirà: “ sono proprio in campagna, qui più nessuno mi trova”.
Berto ha la coscienza di avventurarsi in qualcosa di lontano dalla sua abituale esperienza.
Arrivato in campagna nota subito il fastidioso odore del fieno, rimane colpito dalla forme delle colline, dalla famiglia di Talino ma è anche allo stesso tempo affascinato dalla bellezza di quei paesaggi e dalla stranezza delle loro forme.
Si accorge inoltre che le donne di campagna sono rozze rispetto a quelle di città, tutte tranne Gisella, l’unica che da subito lo affascina grazie alla sua bellezza naturale così estranea alla selvaggia vita di campagna.
Fin dall’inizio è comunque Talino a mettere a disagio Berto il quale si sente investito di una certa responsabilità nei confronti di una persona che comunque lo usa e si dimostra lungo tutta la vicenda rozza e violenta.

PAESI TUOI

Paesi tuoi riassunto

Berto, un operaio torinese, conosce nel carcere dove è stato rinchiuso,uno strano uomo di campagna, Talino che è stato accusato di avere incendiato una cascina.
Appena usciti dal carcere, Talino riesce a convincere il cittadino Berto a seguirlo in campagna, a Monticello, paesino lontano dal mondo cittadino e dalle sue regole, dove egli potrà lavorare alla trebbiatrice con il suo nuovo compagno.
Berto sebbene sospetti che quest’ uomo voglia servirsi di lui, accetta a malincuore di lasciare Torino e lo segue. In effetti il contadino furbo usa del povero Berto come scudo per difendersi dalle intemperanze del padre e anche da un’ eventuale vendetta da parte di coloro ai quali ha incendiato la cascina.
Per Berto la campagna è un luogo nuovo e rimane turbato dal differente modo di vita condotta in quel paesino tranquillo, così diverso dalla vita movimentata di Torino.
Rimane affascinato anche dai personaggi di Monticello come la famiglia di Talino, il padre e soprattutto la sorella Gisella per la quale prova un sentimento differente da quello che prova per gli altri. La vede diversa, come se fosse di un’altra razza, non gli sembra affatto rozza come le altre contadine.
Berto comincia a corteggiarla ma Talino ha avuto rapporti incestuosi con lei e ora non resiste al suo amore per Berto; durante il giorno della trebbiatura mentre Gisella porge da bere al meccanico e respinge il fratello che la intimorisce con il suo sguardo cupo, Talino adirato con un salto le pianta nel collo il tridente.

17.3.08

Tema Argomentativo

Un mito da sfatare

Spesso si crede che basti leggere la storia sui libri per essere sicuri di leggere la realtà dei fatti accaduti, ma la cosa che colpisce è che non è sempre vero.
Basti pensare al “Genocidio Vandeano” avvenuto nel 1793 fatto di cui i libri storici non trattano. Leggendo e approfondendo alcuni documenti storici si capisce come un periodo della storia possa essere caratterizzato da “ombre” e da “luci”cioè il voler tenere nascosi certi fatti e farne emergere degli altri.
Leggendo della Rivoluzione Francese su un libro storico di sicuro appare come un evento storico importante che voleva far prevalere il concetto di libertà dell’uomo, ma non viene detto come questa libertà ha portato i potenti ad uccidere degli innocenti senza una vera causa.
La Vandea è una regione della Francia dell’ovest che si trova in una zona a sud della Bretagna e a nord ella Loira(vicino al ponte di Nantes) con una popolazione che comprendeva allora circa 800000 abitanti.
Dopo che il 21 Gennaio 1793 il re francese venne condannato a morte e che quindi cadde la monarchia, il terrore giacobino governò la Francia.
I Vandeani avevano un grande sentimento religioso segnato in modo evidente dalla predicazione di San Luigi Maria Grignon di Montfort ed erano legati alla monarchia,per questo in nome del re e in nome di Dio si ribellarono ai comandanti giacobini e insorsero.
La cosa drammatica è stata che non ci fu il rispetto dell’uomo poiché le persone venivano condannate ingiustamente e mandate alla ghigliottina senza alcun processo. Oltre ai vandeani vennero uccisi anche suore,preti e bambini.
Come ci conferma Eugenio Corti nel suo articolo pubblicato sulla rivista “Il Timone”, i comandanti giacobini, il cui motto era “libertà, uguaglianza, fraternità o morte”, con a capo Robespierre misero a ferro e fuoco la regione con le “colonne infernali” costituite da sei formazioni armate che rastrellarono tutto il territorio e uccidevano tutti quelli che incontravano.
La completa distruzione della Vandea fu programmata a tavolino tra i generali francesi tra cui si ricorda Currier che per incitare i suoi soldati diceva loro:”non ci si venga a parlare di umanità verso queste belve vandeane, saranno sterminate tutte non bisogna lasciar vivo nemmeno un solo ribelle”.
Per non parlare poi del generale Westermann che al Comitato di Salute Pubblica disse:”non vi è più la Vandea, cittadini repubblicani, è morta sotto la nostra libera sciabola, con le sue donne ed i suoi bambini … ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli e massacrato le donne che non partoriranno più dei briganti:non ho da rimproverarmi nemmeno un prigioniero, ho sterminato tutti”.
Leggendo un articolo di Eugenio Corti, già citato, e di Messori si viene a conoscenza che i giacobini,oltre alle “colonne infernali” adoperarono altri metodi drastici per sopprimere i vandeani.
Un esempio è l’eliminazione per annegamento che consisteva nel caricare un certo numero di persone su battelli per poi condurli nel mezzo del fiume Loira e li farli calare a picco tutti. Più frequentemente procedevano con il “battesimo patriottico” cioè buttavano in acqua le persone a gruppi, quelle che non affogavano venivano uccisi a colpi di sciabola dalle barche che li accerchiavano. Con questi metodi si risparmiava tempo poiché la ghigliottina era troppo lenta e fucilare voleva dire sprecare troppa polvere da sparo.
I giacobini inoltre sfruttavano i cadaveri delle vittime vandeane per ricavarne pelli da acconciare e facendoli bollire ne ricavavano grasso e sapone.
Passato il periodo del terrore giacobino,tutte queste orrende e drastiche procedure furono dimenticate ma grazie a Secher, nominato da Missori in un suo articolo, sono tornate alla luce.
Reynald Secher è un giovane scrittore contemporaneo,originario della Vandea ed è l’autore de “il Genocidio Vandeano”, ed è voluto andare alla ricerca di una documentazione che molti credono ormai sia andata perduta.
Gli articoli di Eugenio Corti e di Secher attribuiscono a questo genocidio il termine “vero olocausto”poiché questo termine ci rimanda al nazismo. Tutto quello che misero in pratica le SS di Hitler fu anticipato dai “democratici” francesi.
Venie da chiedersi perché i libri di storia non parlino di un argomento così toccante e per quale motivo viene tenuto così nascosto.
Durante questi avvenimenti storici risulta evidente che la libertà dell’uomo è stata soppressa, calpestata, ma è altrettanto vero e decisivo capire quali sono i diritti fondamentali dell’uomo e rispettarli poiché come ha esposto Papa Benedetto XVI in un messaggio del 11.10.2005:” i diritti fondamentali dell’uomo non vengono creati dal legislatore, ma sono inscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente alla persona del Creatore”.